La caverna rimanda gli eco dello stillare d’acqua nella polla, dei respiri, dei passi, dei tintinnìi mentre le ombre create dalle torce si muovono di anfratto in anfratto sulla parete lungo la quale si snoda il sentiero.
Vince, in avanscoperta, scivola per uno smottamento del terreno, lanciando un avvertimento ai compagni; la nota preoccupata nella voce non è dovuta alla caduta, né al fatto di essersi sporcato i preziosi calzoni di vigogna, bensì alla frana stessa, a quella massa di detriti che, pulsando e raggrumandosi in una sorta di melma fangosa, si sta sollevando, assumendo una forma vagante antropomorfa.
Il ladro arretra senza staccare gli occhi dalla mostruosità che incomincia ad avanzare, barcollando e provocando uno disgustoso suono di risucchio; il resto del gruppo è pronto allo scontro, i guerrieri si fanno avanti, approfittando della lentezza del mostro per individuarne i punti deboli.
Lo scontro riecheggia per qualche minuto, giusto il tempo per “rimandare alla Terra quel suo figlio disgraziato, strappatole al seno da empi incantamenti”, come dice Nulbo, controllando con la punta dello stivale ciò che rimane dell’avversario.
Vince salta la pozza di fango e fa cenno di proseguire, ma dopo qualche decina di metri due serpenti albini, lunghi un paio di metri, lo attaccano, sbucando da alcune fessure della parete rocciosa.
Uno dei due ofidi morde Vince, riuscendo ad avvinghiarlo tra le spire, l’altro, con sorprendente velocità, si infila in mezzo al gruppo, creando un attimo di scompiglio. Il ladro urla, gonfia i muscoli, cercando di resistere alla forza che lo stritola e che incomincia a togliergli il fiato. Ultimate e Lorenzo, nel tentativo di colpire il rettile, scivolano sulla roccia umida, perdendo le proprie spade, che finiscono con un sordo tonfo nel piccolo lago. Nonostante ciò il gruppo circonda il serpente e se ne sbarazza velocemente, giusto in tempo per soccorrere il compagno che, immobilizzato e paonazzo, sviene.
Ultimate deve ricorrere ad uno dei suoi amati uncini per liberare il compagno senza rischiare di ferirlo, mentre, falliti i tentativi di rianimarlo, gli si dovrà fare ingerire a forza una delle ultime pozioni di guarigione rimaste.
Ci va un po’ di tempo prima che Lorenzo e Ultimate recuperino le spade finite in acqua, e gli avventurieri ne approfittano per tirare il fiato.
«Come ti senti, Vince?»
Il ladro è ancora pallido, e sembra fissare un punto davanti a sé, nel buio. «Dobbiamo riposarci prima di incontrare chi ha organizzato tutto questo…»
La voce baritonale di Ultimate di ritorno dalla polla, interrompe il compagno: «Ecco le spade! Bene, possiamo proseguire.»
«Ci accampiamo qui. Torniamo all’ingresso del corridoio dal quale siamo arrivati, è un punto facilmente difendibile.» La voce di Vince è bassa ma decisa. Per un attimo tutti stanno in silenzio, poi la zingara, con gli occhi scuri e misteriosi che brillano, pronuncia una frase nell’idioma vystano, traducendo subito per i compagni: «Chi ha visto un serpente di giorno, di notte ha paura di una corda. È un proverbio della mia terra… E chissà se adesso è giorno o notte?» Le sue vesti gitane frusciano leggere mentre si allontana, lasciando i compagni a chiedersi se il proverbio non celi significati reconditi.
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